Era per una scheda u.u
Le note grevi che scivolavano via dalle sue dita, riempivano la stanza in un susseguirsi incessante. La luce di una candela si faceva strada a forza nell’ombra, tutt’intorno opprimente, gettando un tenue e tremulo bagliore sui tasti del pianoforte a coda, che occupava quasi tutto lo spazio. Su una delle pareti si stagliava incerto e cupo il suo profilo…in quei momenti, per lei, non esisteva altro che la sua musica…una melodia che suonava dolce e soave nelle sue orecchie, nonostante in realtà fosse composta da toni striduli e spesso scoordinati, o frequenze così basse da non essere quasi udite. Il risultato era un motivo inquietante, instabile proprio come il suo umore. E la sua mente. Il cigolio della porta fece cessare all’istante ogni altro rumore. Adesso era come paralizzata, annichilita da una paura raggelante…le sue sottili e bianche dita rimasero sospese nell’aria per qualche attimo, prima di congiungersi sul ventre rigonfio. Gli occhi color del ghiaccio si spensero, perdendo la loro vividezza…Aileen voltò lentamente la testa, e una ciocca di capelli ricadde dal suo chignon, morbida come un nastro di seta nero. Guardò in volto l’uomo che indugiava sulla soglia, semi nascosto nel buio, e per un istante ebbe la visione distorta di suo figlio…un uomo duro e crudele, quanto chi l’aveva concepito. Gli angoli della bocca le si piegarono in una smorfia di sprezzo. Un moto di rabbia la pervase, scuotendola; avrebbe voluto urlare, strapparsi di dosso la carne a brandelli…a stento udì la voce di suo marito, i cui passi, attutiti dal tappeto, avanzavano lenti. Aileen socchiuse le palpebre, e quando le riaprì stava fissando le proprie mani e ciò che vi era sotto…quello che aveva in grembo era suo figlio e doveva ancora nascere! Come aveva anche solo potuto credere di vederlo con lei, in quella stanza?! Sentì le mani dell’uomo stringersi vigorose attorno alle sue spalle, tese come corde di violino, e ritrovò il contatto con la realtà…una realtà che la disturbava da sempre, e che tendeva a rinnegare con tutte le forze. “Andrà tutto bene” sussurrò la voce di suo marito, prima di sbiadire nel limbo della sua coscienza…
Londra. 11 anni dopo. Il baule, accuratamente preparato la sera prima, giaceva ai piedi del suo letto. Non era ancora l’alba, ma il ragazzino se ne stava con gli occhi spalancati nel buio, fissando un punto inesistente sul soffitto. La stanza aveva iniziato a diventare più fredda, nel camino non restavano che braci spente. Molte domande popolavano la sua testa, ma una era per lui più assillante delle altre: sarebbe diventato come sua madre? Era quella la paura più profonda, che gli si annidava dentro come un morbo…e più di una volta si era sentito così vicino al limite…così prossimo sull’orlo di quel baratro da cui non poteva esservi ritorno, ma solo una discesa senza fine. Proprio come quel giorno…di tre anni prima…
*Aveva otto anni allora…lui e suo fratello, più piccolo di due, stavano giocando nel bosco dietro la loro casa. Voleva bene a Yuri, ma da quando era venuto al mondo aveva preso il suo posto nel cuore della madre…un cuore arido e glaciale, restio a ogni manifestazione d’amore nei suoi confronti. Tranne in rare occasioni…quando la follia della donna lasciava entrare la realtà, seppur da uno spiraglio troppo piccolo perché potesse rimanere aperto a lungo. E poi…Yuri gli aveva portato via anche quei piccoli, flebili momenti. “Guarda! Guarda lì!” gridava il piccolo quel giorno, eccitato da qualcosa, indicando una siepe di rovi; a volte trovava così fastidiosamente chiassosa la sua voce…eppure gli voleva bene…i suoi occhi grigi come lastre di ghiaccio si appuntarono sulla nuca del fratello, che continuava a chiamarlo. Avrebbe tanto voluto farlo tacere, anche solo per un attimo! Invece, decise di assecondarlo. Si avvicinò a lui, seguendone lo sguardo curioso…c’era un serpente nell’erba, arrotolato su sé stesso, ma con la testa pronta a scattare. Ne fissò gli occhi, grandi e scuri come un abisso..le pupille dilatate suscitarono in lui una perversa attrazione “Posso toccarlo?” riprese a cantilenare il fratello “Mi farà male?” distolse lo sguardo dal serpente, riportando l’attenzione sul bambino “E’ del tutto innocuo” era una bugia, e lo sapeva bene. Yuri, allora, aveva fatto un movimento troppo brusco, e con un guizzo la testa del serpente aveva raggiunto la sua gola…lo aveva visto cadere a terra, la testa riversa all’indietro, col volto che impallidiva…ed era rimasto a fissarlo, come inebetito, mentre sua madre sopraggiungeva urlando, in preda alla disperazione…se fosse stata ancora una maga, forse avrebbe potuto salvare Yuri…ma era stata privata dei propri poteri anni addietro, dopo un lungo ricovero al San Mungo, reparto di igiene mentale. Per un breve istante, brevissimo…provò quasi un moto di soddisfazione nel vederla così impotente…*
Improvvisamente il ricordo sbiadì, assottigliandosi come stralci di foschia, fino a divenire indistinto; solo allora Evan chiuse gli occhi. L’indomani tutto sarebbe stato diverso…e nuovo.
Il castello di Hogwarts si stagliava scuro contro il cielo del tramonto. Il suo profilo, intervallato da torri merlate e alti tetti a punta, incombeva sulle placide acque del lago sottostante…il suo riflesso tremolava e s’increspava sulla superficie di quel nero abisso, sul quale erano puntati gli occhi di Evan. “Parlerai a tuo padre di me?” disse una voce alle sue spalle…il ragazzo non si voltò, ma l’immagine del suo vecchio gli sovvenne alla mente come un lampo a ciel sereno. Era sempre stato un uomo cupo e un po’ assente, solido nelle sue posizioni e fermamente convinto che nulla dovesse distoglierlo dal suo obiettivo: servire il Signore Oscuro in qualunque modo Egli lo richiedesse. Nemmeno il dolore per la perdita di suo figlio lo aveva ammorbidito…in compenso, però, non ne aveva mai attribuito a lui la colpa, a differenza di sua madre. “Lo farò” rispose infine, girandosi a guardarla…lei, con quei capelli neri e lisci come raso, e quegli occhi color cioccolato, sempre animati da una luce vivida…come poteva essere una mezzosangue? Com’era riuscita a fargli perdere la testa? Suo padre non avrebbe mai approvato…ma, del resto, non si era mai sforzato di compiacerlo. Le volte in cui gli era ostile superavano i loro momenti di tacita calma…e poi, lui e Senna avevano dei progetti…non appena fosse terminato l’anno scolastico, il loro ultimo anno ad Hogwarts, sarebbero andati a vivere insieme…
Alla fine non si erano sposati, ma solo due anni dopo Senna portava in grembo un bambino. E mentre lei aspirava a divenire un Auror, a sua insaputa Evan aveva continuato a dedicarsi alle Arti Oscure, nelle quali eccelleva fin dai tempi della scuola…anche se Voldemort aveva cessato di esistere quando lui era ancora un bambino, infatti, lo stesso non poteva dirsi del segno che aveva lasciato in molti dei suoi seguaci…e suo padre era sempre stato fra questi. Benché con lui avesse scarsi rapporti ormai, durante la loro convivenza non aveva mai mostrato di essere estraneo o contro il suo pensiero, i suoi ideali. Allora, tuttavia, si era limitato ad osservare dall’esterno, perfezionando i suoi studi e sviluppando una sempre più fervida curiosità per certe pratiche, definite “proibite”.
E poi era arrivato quel giorno che tanto temeva. Il potere oscuro dilagava come una marea, trascinandosi dietro sempre più adepti e spazzando via le ultime resistenze di coloro che tentavano di opporvisi. Non c’era un futuro per lui e Senna, né per il figlio che speravano di avere…i mangia morte di cui faceva parte avrebbero dato la caccia ad entrambi, e li avrebbero uccisi…così era stato costretto a fare l’impensabile, per salvare loro e sé stesso…con una magia molto potente aveva rinchiuso lo spirito di Senna in quello di un lupo, sperando un giorno di poterla liberare. Allora lei gli aveva donato un medaglione, nel quale avrebbe potuto guardare la sua immagine per non dimenticarla mai…ma quando l’Oblivion era sceso come una cortina argentata sul mondo magico e non, lentamente i ricordi di Evan avevano cominciato ad affievolirsi…così come l’immagine di Senna nel medaglione…finché era scomparsa del tutto, trasformandolo in un oggetto freddo e vuoto.
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