GDR Stay Alive

Posts written by Prince of Sayan

view post Posted: 5/3/2017, 00:17 Cosa stiamo ascoltando ora? - Oltre il GDR
CITAZIONE (Prince of Sayan @ 2/3/2017, 23:41) 
view post Posted: 2/3/2017, 23:43 Cosa state facendo? - Oltre il GDR
ascolto musica e la mia fantasia vola u.u
view post Posted: 2/3/2017, 23:42 Cosa penso ora? - Oltre il GDR
Un vero peccato per i forum perduti :/
view post Posted: 25/10/2015, 23:48 - Oltre il GDR
25 Ottobre 2015:

CITAZIONE
Prince of Sayan: ah e come mai
Prince of Sayan: ti sei trattenuto?
zephyro89: perchè stavo parnando con te
Prince of Sayan: *__*
Prince of Sayan: ma sento che c'è qlkosa sotto u.u
zephyro89: no
zephyro89: apparte il pisello
zephyro89: sotto non c'è nient'altro

3 Novembre 2015:

CITAZIONE
Io: Vabe sarò nonno ma c'ho un bel bastone
Miss: Mi fa piacere...usalo per i selfie!

4 Novembre 2015:

CITAZIONE
Io: lo faccio per i punti, non xkè mi piaccia hahahaha
Kundry: sei un prostituto delle role!

CITAZIONE
Miss: E quale strip-gioco vuoi fare? Il monopoli? Invece di ipotecare le case ti spogli?


Edited by Prince of Sayan - 9/1/2016, 22:32
view post Posted: 9/8/2015, 14:12 Lettera - Fan- fic
Scritta per un "gdr"...e mai postata u.u

Quella mattina, nonostante avesse passato una notte insonne, Evan si alzò piuttosto presto. Iris, nel letto accanto a lui, era ancora profondamente addormentata e preferì non svegliarla affatto, soffermandosi a guardarla per un fugace istante; le tende della finestra erano tirate, e nella stanza filtrava a malapena una luce opaca e biancastra, segno di un’altra giornata uggiosa. Uno strano sentimento lo accompagnò, mentre scendeva le scale per andare in sala da pranzo…la governante aveva appena finito di preparare il caffè, ma le chiese se gentilmente potesse lasciarlo solo. Avrebbe rimandato la colazione a più tardi, se ne avesse avuto il tempo…in quell’istante, faccende ben più importanti occupavano la sua testa…e il suo stomaco, stretto in un nodo doloroso. Ci aveva pensato a lungo…e tuttavia, non ancora abbastanza…ma era certo che non esistesse un “momento giusto” per prendere quella decisione con serenità. Prese una penna da un cassetto e un semplice foglio di carta, fissandolo per interminabili minuti col cervello quasi spento…mille dubbi, e pensieri si accavallavano l’uno sull’altro, lasciando alla fine soltanto il vuoto. Il suo cuore batteva così forte che poteva quasi sembrar fermo. Oppure era tutto il resto ad essersi fermato…non ne aveva la certezza…l’inchiostro cominciò a comporre parole…una dopo l’altra, senza sosta.

Il nostro è sempre stato un amore incomprensibile agli occhi degli altri, e forse, perfino per noi stessi. Ma se non era amore, non avrei un altro termine per definire il sentimento che ci ha sempre legati…ci siamo fatti male molte volte, e altrettante siamo riusciti a ritrovarci, perdonarci…amarci di nuovo come fosse stata la prima! Ma adesso…non so spiegare cosa ci sia successo, né attribuire una colpa, se ne esiste una…ognuno di noi due crede di avere le sue ragioni, e difenderle ad ogni costo ci allontana. Non lo vorremmo, ma succede…forse non riusciamo più a guardare oltre al nostro dolore, forse non ci sforziamo più di capirci…e anche se ci proviamo, e ci impegniamo per farlo, il risultato è sempre il medesimo. Ci chiudiamo nei nostri silenzi, troppo orgogliosi o troppo spaventati per fare la prima mossa, sperando che sia l’altro a farla e a decidere per noi…non ha un senso, non lo ha mai avuto. Ma è sempre stato così, tra noi. Solo che…adesso ci siamo detti troppo per riuscire a tornare indietro…e per andare avanti. Ci facciamo delle promesse…che poi non sono altro che parole…che non rispettiamo, finendo per non rispettarci a vicenda. Tu mi facevi sorridere, anche quando non potevi vedermi, e senza neppure saperlo…e oggi, anche se quei sorrisi sono diventati più rari, il mio cuore non smette di essere felice quando ti sento, come fossi davvero con me. Anche dopo una discussione, anche dopo il rancore o le cose brutte che ci diciamo…forse ho sbagliato, di sicuro non ho saputo starti accanto come volevi…ma ci ho provato nel modo in cui sapevo farlo. Magari mi sono illuso che bastasse, e forse mi piaceva illudermi perché significava comunque averti nei miei giorni, dentro la mia vita. Ma non era così per te…non è così per te…qualsiasi cosa io faccia, o dica…il peso di quelle scelte del passato ritorna sempre…e mi sembra come se ai tuoi occhi, questo, mi togliesse ogni diritto di lamentarmi di qualcosa. E magari è davvero così…ma è comunque difficile, per me, riuscire ad accettare alcune cose. Spesso ho creduto di essere ormai stanco per “combattere”…ma ogni quando capivo che tu me lo stavi chiedendo, quella forza tornava in me, insieme alla voglia di non lasciarti andare. Ma a volte…continui ad essere sfuggente…nei tuoi comportamenti, i tuoi modi di fare…e in quei momenti mi sento ferito, finendo per ferire anche te, anche quando non vorrei. Mi piaceva sentirmi dire da te che ti facevo star bene…perché stavo bene anche io…ma, per quanto ce lo nascondiamo, non è più così. Non ho la certezza assoluta neppure di questo…perché provo i sentimenti più contrastanti per te…mi fa male quando m’ignori, e lo fai senza neppure accorgertene…e mi fa malissimo quando non ci sei…però avverto che non c’è più “leggerezza” nel nostro stare insieme…spensieratezza. I problemi sembrano seguirsi uno con l’altro…il malumore occupa più spazio di quanto non lo faccia il resto…entrambi sbagliamo forse…oppure entrambi crediamo solo di agire per il meglio. Il meglio di chi? Magari di noi stessi…siamo sempre stati egoisti, perché la sola cosa che davvero ci importava era di poterci tenere legati, l’uno all’altra. E io sono certo che una parte del mio cuore, di me…resterà sempre tua…il tuo cuore, però, è di un altro adesso. Per lui sei disposta a mettermi da parte, anche quando pensi di non farlo, o quando credi che questa logicità possa causarmi meno dolore…e nonostante questo, sai che se tornassi da me mille volte, mille volte sarei disposto a ricominciare. Anche se so che tutto questo mi inchioda qui…a te, al dolore che provo…non so più cosa sia più forte…se la tentazione di sottrarmi o la testardaggine ad andare avanti…per non perderti. Per non perdere quella parte di me, che sei tu. Sei stata una ferita per tutto il tempo che ti ho conosciuto…di quelle che non si chiudono mai per sempre, e che quando lo fanno vuoi riaprire a tutti i costi per far bruciare quel sentimento che ti fa così male da farti capire che è reale. Mi manchi immensamente quando non ci sei…e mi manchi anche quando sei qui, e sento che non puoi essere con me…ti ho amata Iris, a modo mio, e non so quando, né se smetterò di farlo mai…

Evan


Lasciò il foglio sul tavolo, con sopra la penna. Aveva gli occhi lucidi, per quelle lacrime che non voleva piangere, ma che gli restava così difficile trattenere…non prese le chiavi di casa, andando via, ma solo il cappotto. Quando fosse uscito da quella porta, non era sicuro di poter tornare…non era sicuro di niente…tornare significava soffrire ancora, ma anche stare con la donna che amava…avrebbe pagato questo prezzo per lei. Andarsene…forse voleva dire perderla per sempre, ma lasciarla libera di vivere quel suo nuovo amore per Constantine. Se non fosse stato tanto egoista, non avrebbe esitato a prendere la seconda strada, senza dubbi…ma lui non era un uomo tanto generoso, né così saggio…e quando la porta si chiuse alle sue spalle, sentiva solo una voragine al posto del cuore, che inghiottiva ogni colore e ogni luce intorno. Avrebbe voluto voltarsi, ogni fibra del suo corpo lo voleva…però non lo fece, continuando a camminare, con davanti solo il buio.
view post Posted: 9/8/2015, 14:09 Storia - Fan- fic
Era per una scheda u.u

Le note grevi che scivolavano via dalle sue dita, riempivano la stanza in un susseguirsi incessante. La luce di una candela si faceva strada a forza nell’ombra, tutt’intorno opprimente, gettando un tenue e tremulo bagliore sui tasti del pianoforte a coda, che occupava quasi tutto lo spazio. Su una delle pareti si stagliava incerto e cupo il suo profilo…in quei momenti, per lei, non esisteva altro che la sua musica…una melodia che suonava dolce e soave nelle sue orecchie, nonostante in realtà fosse composta da toni striduli e spesso scoordinati, o frequenze così basse da non essere quasi udite. Il risultato era un motivo inquietante, instabile proprio come il suo umore. E la sua mente.
Il cigolio della porta fece cessare all’istante ogni altro rumore. Adesso era come paralizzata, annichilita da una paura raggelante…le sue sottili e bianche dita rimasero sospese nell’aria per qualche attimo, prima di congiungersi sul ventre rigonfio. Gli occhi color del ghiaccio si spensero, perdendo la loro vividezza…Aileen voltò lentamente la testa, e una ciocca di capelli ricadde dal suo chignon, morbida come un nastro di seta nero. Guardò in volto l’uomo che indugiava sulla soglia, semi nascosto nel buio, e per un istante ebbe la visione distorta di suo figlio…un uomo duro e crudele, quanto chi l’aveva concepito. Gli angoli della bocca le si piegarono in una smorfia di sprezzo. Un moto di rabbia la pervase, scuotendola; avrebbe voluto urlare, strapparsi di dosso la carne a brandelli…a stento udì la voce di suo marito, i cui passi, attutiti dal tappeto, avanzavano lenti. Aileen socchiuse le palpebre, e quando le riaprì stava fissando le proprie mani e ciò che vi era sotto…quello che aveva in grembo era suo figlio e doveva ancora nascere! Come aveva anche solo potuto credere di vederlo con lei, in quella stanza?! Sentì le mani dell’uomo stringersi vigorose attorno alle sue spalle, tese come corde di violino, e ritrovò il contatto con la realtà…una realtà che la disturbava da sempre, e che tendeva a rinnegare con tutte le forze. “Andrà tutto bene” sussurrò la voce di suo marito, prima di sbiadire nel limbo della sua coscienza…


Londra. 11 anni dopo. Il baule, accuratamente preparato la sera prima, giaceva ai piedi del suo letto. Non era ancora l’alba, ma il ragazzino se ne stava con gli occhi spalancati nel buio, fissando un punto inesistente sul soffitto. La stanza aveva iniziato a diventare più fredda, nel camino non restavano che braci spente. Molte domande popolavano la sua testa, ma una era per lui più assillante delle altre: sarebbe diventato come sua madre?
Era quella la paura più profonda, che gli si annidava dentro come un morbo…e più di una volta si era sentito così vicino al limite…così prossimo sull’orlo di quel baratro da cui non poteva esservi ritorno, ma solo una discesa senza fine. Proprio come quel giorno…di tre anni prima…

*Aveva otto anni allora…lui e suo fratello, più piccolo di due, stavano giocando nel bosco dietro la loro casa. Voleva bene a Yuri, ma da quando era venuto al mondo aveva preso il suo posto nel cuore della madre…un cuore arido e glaciale, restio a ogni manifestazione d’amore nei suoi confronti. Tranne in rare occasioni…quando la follia della donna lasciava entrare la realtà, seppur da uno spiraglio troppo piccolo perché potesse rimanere aperto a lungo. E poi…Yuri gli aveva portato via anche quei piccoli, flebili momenti.
“Guarda! Guarda lì!” gridava il piccolo quel giorno, eccitato da qualcosa, indicando una siepe di rovi; a volte trovava così fastidiosamente chiassosa la sua voce…eppure gli voleva bene…i suoi occhi grigi come lastre di ghiaccio si appuntarono sulla nuca del fratello, che continuava a chiamarlo. Avrebbe tanto voluto farlo tacere, anche solo per un attimo! Invece, decise di assecondarlo. Si avvicinò a lui, seguendone lo sguardo curioso…c’era un serpente nell’erba, arrotolato su sé stesso, ma con la testa pronta a scattare. Ne fissò gli occhi, grandi e scuri come un abisso..le pupille dilatate suscitarono in lui una perversa attrazione “Posso toccarlo?” riprese a cantilenare il fratello “Mi farà male?” distolse lo sguardo dal serpente, riportando l’attenzione sul bambino “E’ del tutto innocuo” era una bugia, e lo sapeva bene. Yuri, allora, aveva fatto un movimento troppo brusco, e con un guizzo la testa del serpente aveva raggiunto la sua gola…lo aveva visto cadere a terra, la testa riversa all’indietro, col volto che impallidiva…ed era rimasto a fissarlo, come inebetito, mentre sua madre sopraggiungeva urlando, in preda alla disperazione…se fosse stata ancora una maga, forse avrebbe potuto salvare Yuri…ma era stata privata dei propri poteri anni addietro, dopo un lungo ricovero al San Mungo, reparto di igiene mentale. Per un breve istante, brevissimo…provò quasi un moto di soddisfazione nel vederla così impotente…*

Improvvisamente il ricordo sbiadì, assottigliandosi come stralci di foschia, fino a divenire indistinto; solo allora Evan chiuse gli occhi. L’indomani tutto sarebbe stato diverso…e nuovo.

Il castello di Hogwarts si stagliava scuro contro il cielo del tramonto. Il suo profilo, intervallato da torri merlate e alti tetti a punta, incombeva sulle placide acque del lago sottostante…il suo riflesso tremolava e s’increspava sulla superficie di quel nero abisso, sul quale erano puntati gli occhi di Evan. “Parlerai a tuo padre di me?” disse una voce alle sue spalle…il ragazzo non si voltò, ma l’immagine del suo vecchio gli sovvenne alla mente come un lampo a ciel sereno. Era sempre stato un uomo cupo e un po’ assente, solido nelle sue posizioni e fermamente convinto che nulla dovesse distoglierlo dal suo obiettivo: servire il Signore Oscuro in qualunque modo Egli lo richiedesse. Nemmeno il dolore per la perdita di suo figlio lo aveva ammorbidito…in compenso, però, non ne aveva mai attribuito a lui la colpa, a differenza di sua madre.
“Lo farò” rispose infine, girandosi a guardarla…lei, con quei capelli neri e lisci come raso, e quegli occhi color cioccolato, sempre animati da una luce vivida…come poteva essere una mezzosangue? Com’era riuscita a fargli perdere la testa? Suo padre non avrebbe mai approvato…ma, del resto, non si era mai sforzato di compiacerlo. Le volte in cui gli era ostile superavano i loro momenti di tacita calma…e poi, lui e Senna avevano dei progetti…non appena fosse terminato l’anno scolastico, il loro ultimo anno ad Hogwarts, sarebbero andati a vivere insieme…

Alla fine non si erano sposati, ma solo due anni dopo Senna portava in grembo un bambino. E mentre lei aspirava a divenire un Auror, a sua insaputa Evan aveva continuato a dedicarsi alle Arti Oscure, nelle quali eccelleva fin dai tempi della scuola…anche se Voldemort aveva cessato di esistere quando lui era ancora un bambino, infatti, lo stesso non poteva dirsi del segno che aveva lasciato in molti dei suoi seguaci…e suo padre era sempre stato fra questi. Benché con lui avesse scarsi rapporti ormai, durante la loro convivenza non aveva mai mostrato di essere estraneo o contro il suo pensiero, i suoi ideali. Allora, tuttavia, si era limitato ad osservare dall’esterno, perfezionando i suoi studi e sviluppando una sempre più fervida curiosità per certe pratiche, definite “proibite”.


E poi era arrivato quel giorno che tanto temeva. Il potere oscuro dilagava come una marea, trascinandosi dietro sempre più adepti e spazzando via le ultime resistenze di coloro che tentavano di opporvisi. Non c’era un futuro per lui e Senna, né per il figlio che speravano di avere…i mangia morte di cui faceva parte avrebbero dato la caccia ad entrambi, e li avrebbero uccisi…così era stato costretto a fare l’impensabile, per salvare loro e sé stesso…con una magia molto potente aveva rinchiuso lo spirito di Senna in quello di un lupo, sperando un giorno di poterla liberare. Allora lei gli aveva donato un medaglione, nel quale avrebbe potuto guardare la sua immagine per non dimenticarla mai…ma quando l’Oblivion era sceso come una cortina argentata sul mondo magico e non, lentamente i ricordi di Evan avevano cominciato ad affievolirsi…così come l’immagine di Senna nel medaglione…finché era scomparsa del tutto, trasformandolo in un oggetto freddo e vuoto.
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