| Quando Cassandra spalancò le ali, Kristian fece un balzo, seduto e spaventato. Ora era arrabbiata. FUORI! tuonò l'angelo nero, guardandolo con furia. Kristian percepiva, senza volere, passivamente, la sua rabbia, la sua superbia ed il suo fastidio. E tutto in lui gli diceva di andarsene, ed alla svelta. L'ultima volta che era successa una cosa del genere uno dei suoi fratelli si era trovato con la gola tagliata n un battito di ciglia. Lui era giovane, appena nato, ed aveva ossevrato sotto shock l'oscurità liquida che avevano nelle vene sgorgare a fiotti da quella gola già tagliata una volta in vita. Aveva visto suo fratello, se era possibile, sbiancare ulteriormente, per poi crollare a terra, avendo perso troppa oscurità, la fonte di quella loro strana vita. Ricordava la paura, la rabbia, e Morfeus, uno dei loro fratelli più anziani, tappargli la bocca, intimargli di stare zitto, e di aspettare, che non erano autorizzati a saltare addosso a nessun angelo invitato nel rifugio del maestr, per quanto questi fossero boriosi, arroganti ed alle volte più deboli di loro. Lui era arrabbiato, così arrabbiato... Bianca non era nemmeno nata, allora, e lui era stato riportato in vita da meno di un anno. Così poco che nemmeno era ancora uscito da solo dalla cattedrale, instabile, con in corpo la rabbia furibonda che avevano tutti, all'inizio... È difficile accettare la morte. Anche con Kyriel, anche con tanti come te, anche con quel corpo... Un corpo perfetto, congelato nel tempo, ma che non sentiva calore, freddo, dolore, respiro, tatto. Solo mente, e rabbia, e potere! Perchè tutti loro, avevano potere... E lui più di tutti, sempre di più. Poi qualcosa lo spinse via, con una forza devastante. Ma Kristian lo sentì appena, conscio di quella forza esercitata su di lui, rimase rigido, senza sentire dolore, nulla, lasciandosi solo spostare, fino all'ingresso, dove conficcò le braccia negli stipiti, bloccando la sua uscita di scena. Era ancora seduto, ancora rigido, e con le braccia aperte, aperte come ali dell'angelo che aveva ospitato quel corpo in vita, la ragione di tutte le loro sventure. La forza di quella telecinesi era forte, ma non quanto la sua, che comunque non aveva usato. La forza inumana delle sue braccia, spaventosa, invece quella sì che l'aveva usata. A capo chino, le labbra formarono un ringhio silenzioso, mentre i capelli lunghi e semi lisci, intrattabili, gli coprivano parte del viso abbassato. Strinse i pugni, dovendosi trattenere... L'unica cosa che in quel momento voleva era alzarsi e fare a pezzi l'angelo. Distruggerlo, strappare ogni nera piuma dalle ali di quel piccione, sentire le sue urla e gettarla fuori dall'edificio, con le ali spolpate, e vederla precipitare. Oppure fare anche di peggio, tutto per sfogare la sua rabbia... Quella là, con la sua boria, gli ricordava la sua situazione. Quella bellezza, la dolcezza dell'incarnato, la struttura fisica, le ali, la voce e la postura, tutto di lei ricordava la razza angelica, l'unica fonte di tutto il suo dolore. Algebal, ma anche Kyriel, inutile negarlo! Il suo maestro... Era impossibile, davvero, pensare di poter vivere senza di lui. Era sconvolto, e sin dalla sua rinascita gli avevano inculcato in testa pochi precetti: il maestro era il suo mondo, e gli angeli, se erano con loro - ed i neri erano intoccabili - restavano creature superiori, anche se più deboli, perchè della stessa razza del loro creatore, il loro dio. Ma Kristian era arrabbiato, ed in lui lottavano due istinti principali: l'orgoglio - gigantesco, invincibile, che caratterizzava la sua razza, con la dignità dello schiavo colto - e la sudditanza, inculcatagli da sempre. E la rabbia lo portava alla ribellione, ma la paura - tante volte provata, soppressa con la furia e l'intelletto - lo frenavano ancora. Alzò la testa, spostando i capelli da davanti agli occhi con uno scatto della stessa, stizzito e colmo di rabbia, incrociando con decisione lo sguardo dell'angela. Era ancora seduto, e non aveva fatto cenno né di alzarsi per attaccarla o per andarsene. Si rifiutava di cedere posizioni, ma nemmeno osava fare quel che riteneva in cuor suo giusto: mostrare all'angelo la potenza della sua stirpe di morte e mostrarle l'integrità della morte, di chi non ha scelta ma mantiene identità. RImase lì, ma le parlò, con voce mortalmente gelida. Era un'ottava più bassa del normale, e vibrava, spaventosa: la voce di un morto, quella che tutti loro possedevano e guadagnavano subito dopo la rinascita. Una voce che dava i brividi. Non hai alcun diritto di darmi ordini, stirpe angelica disse, freddo. Nei suoi occhi rosso scuro, fissi in quelli dell'altra, vi era un gelo mortale, misto ad odio e disprezzo. Ma era ancora rigido, segno che era ancora spaventato, anche se dominava quel sentimento. Come al solito, Kristian era una contraddizione continua... Paura e coraggio, desiderio di ribellione ma obbedienza allo stesso tempo. Ma non si sarebbe fatto mettere alla porta così, era una mera questione di principio, qualcosa su cui impuntarsi. Per quanto fosse un angelo, non aveva alcun diritto di trattarlo così: forse gli era stato detto di non colpire o sfidare esseri come lei, ma... Era vero, a lei non doveva alcun rispetto, alcuna obbedienza. E non gliel'avrebbe data.
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